Quando nel 2030, come prevedono le più recenti indagini demografiche, si verificherà in Italia un disallineamento (mismatch) tra domanda e offerta di lavoro pari a circa cinquecentomila unità forse ci si chiederà perché tutte le balbettanti misure degli ultimi anni d’incentivo alla crescita demografica non siano state in grado di risolvere il problema.
A un quesito come questo non si potrà che dare una risposta complessa, ma forse se si rinuncerà a una disamina dei massimi sistemi e si circoscriverà l’esame a un settore specifico come quello del turismo in generale e dell’ospitalità in particolare sarà più facile chiarirsi le idee. Ci si accorgerà che il fenomeno, da sempre presente in modo più o meno strisciante, ha avuto una manifestazione più acuta con la ripresa turistica post Covid.
La pandemia, con le limitazioni imposte alle interazioni sociali e con le ridotte o modificate modalità dell’attività lavorativa, ha infatti inciso profondamente su comportamenti e scelte di vita che hanno determinato un’estesa riflessione sul rapporto più desiderabile tra vita lavorativa e personale. La cosiddetta great resignation o grande dimissione da certi lavori, dopo il suo manifestarsi per prima negli Stati Uniti, non ha infatti faticato a estendersi anche in Europa e nel nostro Paese in particolare nel settore della ristorazione e della ricettività, facendo riemergere i problemi fondamentali che ne avevano da sempre caratterizzato l’esistenza.
La presenza dei turni di lavoro che impone la, seppure non insuperabile, rimodulazione della vita personale e familiare e la constatazione di un non adeguato trattamento retributivo, solo in parte compensato da trattamenti ad personam, hanno assunto ancora di più le caratteristiche di elementi, se non decisamente negativi, certamente non attrattivi del settore. Tuttavia superato il grande affanno di un’estate recente, con brillanti e diffusi risultati che sembrano aver trasformato il turismo da Cenerentola a Regina dell’economia italiana, la volontà delle parti sociali non sembra essersi concentrata sulla soluzione strategica dei citati problemi strutturali.
A conferma di questo può essere d’aiuto l’abbastanza recente notizia che le trattative per il rinnovo del CCNL di settore, scaduto da tempo, hanno registrato da quasi due mesi una battuta d’arresto per un’antica e consolidata situazione fondata sulla presenza di due tavoli contrattuali (Federalberghi e AICA) alternativamente bloccati in funzione dell’acquisizione di immodificabili risultati negoziali sull’uno da far accettare all’altro, in attesa. In questo panorama dall’esame delle piattaforme negoziali presentate sembra emergere infatti l’assenza di una soluzione coraggiosa al problema correlato dei turni/vita personale e delle adeguate retribuzioni.
La considerazione che lo sviluppo dell’autostima delle lavoratrici e dei lavoratori, come dimostrato da tempo da specifiche ricerche, è il primo obiettivo di ogni persona, ed è raggiungibile attraverso la creazione da parte imprenditoriale di un contesto che veda il personale sempre più positivamente coinvolto nelle sorti aziendali, si sposa con la riflessione che il solo e puro adeguamento delle retribuzioni non può essere sufficiente. La risposta non miracolistica, ma utile allo scopo può essere reperibile nell’obbligatorietà di un contratto integrativo di secondo livello che preveda, nel rispetto delle prerogative imprenditoriali in ordine a organizzazione e obiettivi, il riconoscimento di un ulteriore compenso al raggiungimento di alcuni dei risultati annualmente e autonomamente prefissati azienda per azienda.
Lodevoli simili iniziative unilaterali, prevalentemente assunte da parte di aziende di maggiori dimensioni, hanno già lasciato un segno positivo, ma non sono sufficienti a un’estensione efficace di questo istituto contrattuale nella realtà turistica italiana caratterizzata prevalentemente da realtà di piccole dimensioni nei cui confronti il tentativo di applicare da anni una sorta di contratti territoriali è palesemente fallito. Infine le suddette iniziative unilaterali consentono unicamente una detassazione di eventuali trattamenti di welfare, ma non di compensi retributivi aggiuntivi sotto forma di bonus autonomamente elargiti. La ricerca del personale perduto e…del tempo perduto può non essere inutile e forse indispensabile per guardare al futuro.